Department of Political Studies - University of Catania

Jean Monnet Chair of European Comparative Politics


Jean Monnet Working Papers in Comparative and International Politics


Eugenio Guccione
Università di Palermo

Storia e Politica dell'Integrazione Europea: un'Esperienza di Insegnamento


December 1998 - JMWP n° 21

Paper preparato per il seminario del Centro Europeo Jean Monnet su "L'invitato in ritardo: la storia e l'integrazione europea", Catania, 31 ottobre 1998


Nonostante i miei specifici e costanti interessi per la Storia delle dottrine politiche, debbo confessare che non mi è stato e non mi è difficile convivere con la Storia dell'integrazione europea, disciplina che è stata inserita nello statuto della Facoltà di Scienze Politiche di Palermo su mia richiesta e che dal 1993 tengo per supplenza. Dico subito che tanta attenzione è collegata alla mia militanza di oltre un quarantennio nel Movimento Federalista Europeo e a tutta una serie di mie ricerche scientifiche sull'idea di Europa in correnti e in pensatori politici di ispirazione cristiana. Per fare riferimento solo a qualche titolo, anche per legittimare la mia presenza in questo insegnamento, mi permetto ricordare L’idea di Europa in Francesco Orestano (1975), L’idea di Europa in Luigi Sturzo (1981), Genesi e sviluppo dell’idea di Europa nel pensiero politico italiano (1993).

È superfluo sottolineare quale e quanta importanza sia da me attribuita alla Storia dell’integrazione europea, della quale avverto tutta la responsabilità per averla fatta nascere nella mia Università e per la quale spero che quanto prima possa svolgersi un regolare concorso ed essere affidata a un docente valido e interessato ad arricchirla. È, intanto, con viva soddisfazione che, da un anno all'altro, vedo accrescersi attorno ad essa l'interesse degli studenti, che si manifesta concretamente con una sempre crescente presenza ai corsi, con un'attiva partecipazione ai seminari e ai viaggi di studio a Bruxelles organizzati nell'ambito della didattica, con la continua richiesta di tesi di laurea su argomenti di rilievo storico e politico, per il cui svolgimento spesso si richiedono lunghe e approfondite indagini in Italia e all’estero.

Non nascondo che affronto una siffatta soddisfacente situazione con un duplice sentimento: un sentimento di imbarazzo perché in questi ultimi tempi le tesi richiestemi e assegnate in Storia dell’integrazione europea sono diventate molto di più di quelle di Storia delle dottrine politiche; un sentimento di pudore perché le tesi di Storia dell’integrazione europea sono lavori svolti così bene che, contrariamente al mio consueto metro di valutazione, sono portato a proporre voti alti per il 70 per cento dei candidati. La questione, in ogni modo, non mi dà problemi di coscienza perché si tratta di studenti effettivamente bravi. Molti di costoro hanno conseguito la laurea con il massimo dei voti e la lode. E a qualcuno è stato anche riconosciuto il diritto alla pubblicazione della tesi. La constatazione, tutta a mio conforto, è che a scegliere la tesi in Storia dell’integrazione europea sono i migliori studenti tra gli iscritti all’indirizzo internazionale.

Tutto ciò non significa che, nei cinque anni del mio insegnamento di Storia dell'integrazione europea, non si siano presentate difficoltà e che, tuttora, non esistano problemi su come e dove collocare questa disciplina, sui limiti cronologici da dare ad essa, sui contenuti da attribuirle, sulla metodologia da applicare allo studio e all'approfondimento di essa, sui libri da adottare. Ma procediamo con ordine.

Sin dal mio primo approccio ho considerato la Storia dell'integrazione europea - anche nel tentativo di darne una definizione - come "il racconto critico dei progetti e dei processi relativi all'unificazione degli Stati europei". Una ricerca sui progetti e la presentazione dei risultati in sede didattica mi ha, ovviamente, consentito di creare e di sviluppare non pochi agganci con la Storia delle dottrine politiche, senza, con questo, essere stato mai tentato di rivendicare, in quanto non esiste, alcun rapporto di affinità tra le due discipline. Ci si trova, infatti, di fronte a materie distinte, con propri campi di ricerca e con proprie metodologie.

Ciò è tanto palese, quanto è vero che la Storia dell’integrazione europea, nel delicato momento della sua nascita, ricevette impulso e linfa dall’area di Storia delle dottrine politiche. È utile ricordare che, nei primi degli anni ’80, autorevoli professori di questa disciplina, come Gian Mario Bravo, Salvo Mastellone e il compianto Luigi Firpo, si fecero promotori dell’istituzione della prima cattedra di Storia dell’integrazione europea presso la Facoltà di Scienze Politiche di Torino e vollero che questa fosse tenuta dal collega Sergio Pistone, il quale, professore ordinario di Storia delle dottrine politiche, passò alla nuova disciplina con regolare concorso per trasferimento.

Da parte mia, sono totalmente restio, per ovvi motivi e per assoluta mancanza di elementi, a riconoscere un qualche grado di parentela tra queste due discipline. Nonostante ciò, sarebbe mio desiderio vederne l’affinità, ma questa è proprio insostenibile per mancanza di un fondamento scientifico. Sono convinto che la Storia dell’integrazione europea abbia la sua naturale collocazione nel settore scientifico-disciplinare Q04X, ossia nel raggruppamento della Storia delle relazioni internazionali. È innegabile, tuttavia, che esista una forte affinità - come per tutte le discipline di tale settore - con la Storia contemporanea e, in gran parte, con la Storia delle istituzioni politiche.

Per quanto concerne i limiti della Storia dell’integrazione europea, se ritengo di poterne fissare con tutta chiarezza il termine a quo, che, a mio parere, consiste nel progetto di Churchill per l’Unione tra la Francia e il Regno Unito del 1940 ovvero, da un’angolazione italiana, nel Manifesto di Ventotene del 1941, ho molta perplessità (almeno attualmente) nell’indicare un punto fermo come termine ad quem. Ci troviamo di fronte a un processo in corso che, giorno dopo giorno, raggiunge fasi di così importante rilievo le quali non possono non essere tenute nel dovuto conto in un insegnamento che si propone di offrire un quadro completo della situazione politica europea nell’ultimo sessantennio. Di qui l’opportunità che la didattica faccia uso non solo di manuali annualmente aggiornati, ma anche di documenti, di riviste specializzate e (perché no!) di autorevoli quotidiani seriamente impegnati nell’informazione delle vicende europee.

Ma una didattica in questo senso, così necessariamente impostata, costretta a fare ricorso a fonti della giornata, rischia di snaturare, di degradare il concetto di storia insito nella stessa etichetta della disciplina. Bisogna, a mio parere, ricorrere a un correttivo per evitare una caduta scientifica del genere. E il rimedio potrebbe consistere nell’abbandonare l’attuale denominazione di Storia dell’integrazione europea per quella più completa di Storia e politica dell’integrazione europea, che comprende, giustifica e legittima una ricerca e una didattica aperte anche all’attualità. Va detto, a tal proposito, che una materia con questa denominazione esiste già nello stesso settore scientifico-disciplinare Q04X. E lo storico non deve avere problemi nell’accostarsi a fonti inconsuete. Deve solo preoccuparsi di usarle con quello spirito critico e con quella serietà che normalmente caratterizzano la propria ricerca. E ciò vale anche se egli disponga di fonti orali.

Il periodo sopra indicato - dal 1940 sino ai nostri giorni - offre l’essenziale, indispensabile campo di ricerca e di studio della Storia dell’integrazione europea. Ma sarebbe opportuno che questa disciplina, prima che venisse esposta nel vivo dei contenuti di pertinenza, venisse introdotta attraverso lo studio dei suoi presupposti storici. Intendo sottolineare, ai fini di una sua maggiore e migliore comprensione, la necessità di un veloce excursus sul concetto geografico e politico dell’idea di Europa nel corso dei secoli e di una breve rassegna dei più significativi progetti di confederazione e di federazione elaborati nel passato. Dovendosi parlare di integrazione europea non si possono sconoscere le relative, precedenti esigenze e proposte. Lo studio dei presupposti crea inevitabili collegamenti con la Storia delle dottrine politiche, ma questi - è opportuno ribadirlo - non sono tali da generare affinità tra le due discipline in quanto essi appartengono a quegli aspetti più o meno comuni in tutte le materie umanistiche.

Sui libri da consigliare agli studenti per un’adeguata conoscenza della disciplina non esiste, purtroppo, grande possibilità di scelta. In cinque anni di insegnamento della Storia dell’integrazione europea sono stato costretto a cambiare per ben cinque volte il testo relativo alla parte generale. Anche se assistiamo a un lento processo di unificazione europea, gli eventi di rilievo sono annualmente tali e tanti da rendere incompleto qualsiasi recente sforzo editoriale. Comprendo benissimo che, per una disciplina storica destinata a crescere giorno dopo giorno, spetta al docente il compito di illustrarne criticamente le varie fasi e di occuparsi dell’aggiornamento, ma, come si sa, il libro di testo, quale strumento ausiliario di studio, è un’esigenza fortemente avvertita dallo studente.

I testi di cui ho fatto uso nel corso di questo quinquennio, andando sempre alla ricerca di un manuale al passo con i tempi, sono i seguenti: L’Italia e l’unità europea di Sergio Pistone (Torino, Loescher, 1982); L’unificazione europea di Lucio Levi e Umberto Morelli, Torino, Celid, 1994); Governo e politiche dell’Unione Europea di Neill Nugent (il Mulino, Bologna, 1995); Storia e politica dell’Unione Europea di Giuseppe Mammarella e Paolo Cacace (Bari, Laterza, 1998). Per l’anno in corso ho adottato L’Europa difficile di Bino Olivi (il Mulino, Bologna, 1998). Annualmente, per la parte concernente i presupposti storici dell’integrazione europea, ho messo in programma la Storia dell’idea d’Europa di Federico Chabod (Bari, Laterza, 1974), mentre, ai fini dell’aggiornamento, ho consigliato la lettura di saggi apparsi in riviste scientifiche, la lettura e il commento del trattato di Maastricht e, successivamente, del trattato di Amsterdam.

Dai contenuti del programma è possibile dedurre che lo studio della Storia dell’integrazione europea, tenuta da un docente conosciuto come "esigente", ha richiesto e richiede agli studenti un impegno non lieve. Ma alla stragrande maggioranza di essi va il merito d’avere compreso che approfondire questa disciplina significa vivere già da cittadini europei e potere seguire ad occhi aperti le vicende e i problemi di un’Europa che, pur stentando a conseguire l’unificazione politica, appare aperta alle questioni sociali, compresa quella giovanile. Significa capire come e perché l’Unione Europea comincia a rappresentare una rottura con un passato pregno di anacronistici nazionalismi e di inutili conflitti. Tutto ciò, a mio parere, dà significato e importanza a una disciplina poco diffusa perché poco nota. E impone a noi docenti il dovere di potenziarla nelle Facoltà in cui già è operante e di istituirla laddove ancora non esiste.



ã Copyright 1998. Jean Monnet Chair of European Comparative Politics .

Eugenio Guccione, Università di Palermo

mail1.gif (1047 byte) ugocenci@mbox.unipa.it