Department of Political Studies - University of Catania

Jean Monnet Chair of European Comparative Politics


Jean Monnet Working Papers in Comparative and International Politics


 

Maria Grazia Melchionni
Università La Sapienza

 

L'invitato in ritardo: la Storia e l'Integrazione Europea


February 1999 - JMWP n° 23


Prima di diffondermi sul chi, dove e quando negli studi di storia dell’integrazione europea in italia e altrove, vorrei fare una breve premessa sui caratteri della storia dell’integrazione europea.

Essa ha per oggetto il programma, più o meno definito, di creare in europa un insieme politico, economico, sociale, culturale e militare, dotato di autonomia rispetto agli Stati, o quello di favorire la cooperazione inter-europea. L’idea di europa, infatti, si è tradizionalmente alimentata del senso di unità e del senso di diversità di cui sono permeate le culture delle sue società e la prevalenza di ciascuno di essi nei diversi momenti storici ha segnato il prevalere dell’uno o dell’altro programma.

Questa storia si colloca al crocevia fra diverse storie: storia delle relazioni internazionali ( in tutti i loro aspetti: politico, economico, sociale, culturale ), storia delle istituzioni, storia diplomatica, storia economica, storia dellle società...

È una storia nuova, nel senso che è recente come origine, addirittura coeva agli avvenimenti dei quali si occupa, promossa dalla domanda di storia che si leva dalla società del tempo presente, dalla necessità nella nostra epoca, segnata dall’incertezza, di decodificare al piu presto, quasi in contemporanea, i segni del tempo, di offrire spunti interpretativi alla nostra debating society.

Nuova anche nel senso che presenta dei caratteri distintivi suoi propri:

  1. è transnazionale, sotto il profilo sia dell’oggetto che conseguentemente delle fonti;
  2. è interdisciplinare, non solo in relazione ad altre storie, ma anche in relazione agli studi europei di carattere giuridico, economico, politologico;
  3. comprende sia il tempo storico (che oggi si estende fino a tutti gli anni ‘60 circa) che il tempo presente (affari correnti), ed è spinta dale discipline europee limitrofe verso il campo previsionale, è sollecitata a suggerire ipotesi di sviluppo oltre che a fornire giudizi storicizzanti;

In definitiva possiamo dire che si tratta di una storia piuttosto complessa e specialistica rispetto alla storia contemporanea, ma che ha il suo fascino.

A mio avviso esso risiede nella novità della disciplina, nella sua originalità, nella sua globalità, nell’impegno pionerisico che richiede, nella varietà degli approcci che consente, anche - perché no - nella provvisorietà dei risultati che scaturiscono dal ricercare su un terreno ancora tutto in movimento, una provvisorietà che è in linea, in sintonia, con la nostra mentalità di post-post-moderni.

E gli studenti che si accostano alla storia dell’integrazione europea devono essere consapevoli di tutto ciò e disposti a dare un loro contributo di impegno.

Lo studente bravo sopperisce alle mancanze, alla scarsa chiarezza che talvolta una nuova disciplina trascina ancora con sé, perchè è tutta da sistemare.

Lo studente bravo riflette sui testi, su china anch’egli sulle fonti, discute le interpretazioni preliminari, impara - se necessario - anche a dispetto dei professori, se essi non si sono ancora soffermati su certe questioni.

Venendo ora agli studi di storia dell’integrazione europea in Italia e altrove, bisogna anzitutto osservare che all’inizio (vale a dire nei primi anni ‘50) essi sono stati appannaggio dei protagonisti e dei tecnici che, come attori o testimoni, parteciparono all’avvio della costruzione europea (esempio il pamphlet di Jean Monnet, Les Etats-Unis d’ Europe ont commencé, Parigi, 1955 ; il volume di Achille Albonetti, Preistoria degli Stati Uniti d’Europa, Milano, 1960 ), nonché dei militanti federalisti e dei commentatori politici impegnati a diffondere l’idea o l’informazione europea (esempio i numerosi scritti di Altiero Spinelli o di Emanuele Gazzo).

Quindi per tutto il periodo che intercorre tra i primi anni ‘50 e la fine degli anni ‘60 più che di storiografia è il caso di parlare di memorialistica e di pubblicistica o di pamphlettistica politica, i libri cosiddetti di lotta politica, e anche i libri del tempo.

In ambito accademico essa ha fatto la sua comparsa solo tra la fine degli anni ‘60 ed i primi anni ‘70, quando attori e testimoni che rivestivano anche panni di docenti ve l’hanno introdotta sulla base del possesso privilegiato da parte loro di una certa documentazione (mario toscano, con una parte del suo corso universitario del 1967 dedicata al negoziato per l’ingresso dell’italia nel patto atlantico; ma soprattutto giuseppe vedovato con le dispense del 1974 dedicate a europa difficile). Si è trattato, però, di casi isolati, guardati con qualche scetticismo dai più.

In buona sostanza l’ingresso della disciplina nell’accademia è stato ritardato:

  1. dalla mancanza di sufficiente documentazione tradizionale (essendo attestati gli archivi sulla regola dei 30 anni per l’apertura) e dalla diffidenza ingiustamente prevalente nei confronti delle fonti orali;
  2. da un certo conservatorismo nella mentalità degli studiosi di politica internazionale che non li predisponeva a favore delle specifiche necessità metodologiche della disciplina: approccio transnazionale e interdisciplinare ai problemi, riconoscimento del’implicazione di soggetti diversi nella res publica, anche internazionale;
  3. dall’abitudine degli storici contemporaneisti ad accettare la distinzione, sempre meno chiara e netta, anzi sempre più priva di consistenza, fra politica interna e politica estera di uno stato in seno al concerto delle nazioni europee.

Un ruolo propulsivo degli studi storici europei è stato svolto dalla Commissione europea fin dalla fine degli anni ’70 con la creazione del Gruppo di collegamento degli storici europei (contemporaneisti, storici dei trattati e delle relazioni internazionali, storici economici dei Paesi membri, per lo più vicini ai rispettivi Governi), un piccolo gruppo di studiosi che faceva pendant con gli altri Gruppi di collegamento disciplinari già esistenti e veniva stimolato a produrre quella che nei Paesi anglosassoni si chiama Official History.

In generale possiamo osservare che la storia è una disciplina politicamente sensibile e che oggi, nella società della comunicazione, il potere degli intellettuali e degli storici è più grande rispetto al passato e, quindi, l’attenzione dei politici nei loro confronti è anche aumentata. Se la vita degli uomini politici può trovarsi ad essere nelle mani dei medici, la loro fama futura è destinata a cadere in quelle degli storici e, nel frattempo, la loro immagine presso l’opinione può essere in varia misura manipolata da coloro che operano sui media. L’interpretazione del proprio passato, inoltre, è gran parte dell’identità di un gruppo sociale e questo spiega perchè, quando avviene un rivolgimento politico importante, il nuovo potere si preoccupi subito di avere dalla sua parte gli storici: così è accaduto che, dopo la riunificazione tedesca, nella Germania orientale siano stati sostituiti tutti i professori di storia; così oggi, nell’ Italia della seconda Repubblica, è stata palesata l’intenzione di riscrivere i manuali scolastici di storia.

In tal modo, nel momento in cui la costruzione europea cessava di essere appannaggio di qualche centinaio di persone, perchè si dava il via all’elezione diretta del Parlamento europeo, ecco aprirsi il dialogo fra il potere europeo e gli storici.. La Commissione li chiama a sè, li aiuta a interagire, li incoraggia a studiare insieme il processo d’integrazione. Tutto ciò aveva anche lo scopo di favorire la sostituzione di un approcio europeo all’approccio nazionale abituale negli studi storici, cominciando ad introdurlo in un campo in cui risultava più facile - in quanto assolutamente necessario - farlo.

L’Azione Jean Monnet, lanciata dalla Commissione alla fine degli anni ’80 e concretizzatasi nel corso del decennio successivo, ha avuto una portata assai più vasta ed una visibilità nuova:

  1. ha introdotto gli studi storici europei (e tutti quelli che rientrano nell’europeologia) nelle università di massa, che sono oggi i luoghi nei quali si pratica ogni evangelizzazione;
  2. ha favorito su ampia scala lo sviluppo della nuova disciplina, creando un network di professori Jean Monnet in contatto fra di loro, che si scambiano informazioni, partecipano a convegni insieme, lanciano programmi di ricerca multinazionali, fannno circolare i loro allievi allievi e si fanno visita reciprocamente per scopi didattici;
  3. ha promosso il sorgere di associazioni nazionali e transnazionali di studiosi europei, che operano anche a livello globale (AUSE, ECSA WORLD).

Il risultato di tutto ciò e anche dell’attenzione che si è andata accumulando negli ultimi dieci anni sul processo d’integrazione è stato il recente, grande sviluppo dela storia dell’integrazione europea in Italia, negli altri Paesi membri e nel mondo. Anche il fatto che il sistema internazionale sia entrato, dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’URSS, in una nuova fase dinamica e si presenti finalmente la possibilità, anzi la necessità per i Paesi del Vecchio Continente di svolgervi un ruolo attivo purchè in chiave europea, ha riportato l’attenzione degli storici che si occupano dell’età più contemporanea a fissarsi sulle problematiche internazionali e, in particolare, su quelle europee.

Negli anni ’90 si è, quindi, pubblicato moltissimo; sono sorte nuove riviste, come il Journal of European Integration History e la European Union Review; si sono fatte decine di incontri europei.

Per le esigenze dell’editoria libraria, ormai globalizzata, la lingua è sempre più spesso esclusivamente l’inglese; ma il francese cerca di mantenere una presenza molto forte nel campo che ha dominato per alcuni decenni ed i tedeschi si sono attrezzati per rendere la loro letteratura incontournable: la loro casa editrice Nomos, infatti, ha aperto una sede a Bruxelles, pubblica e pubblicizza con grande impegno, non traduce più.

Si pone, così, il problema cruciale della circolazione della storiografia non di lingua inglese, o francese, o tedesca, che attualmente è zero. Quali le soluzioni possibili? Promuovere le traduzioni? Favorire la circolazione di regesti? Incoraggiare la pubblicazione di testi plurilingue?

Per quanto attiene agli orientamenti della ricerca emersi nel corso degli anni bisogna partire dalla constatazione che la ricerca sulla storia dell’integrazione europea appare legata a certe personalità di studiosi ed a certe équipes di lavoro assai facilmente identificate in ogni Paese e che, d’altra parte, non si dedicano solo ad essa. Alcuni di questi studiosi privilegiano certi ambiti di ricerca, altri sono più eclettici.

Questa breve rassegna non dà conto dei contributi occasionali di studiosi che operano normalmente su altri terreni ( es. Elena Aga Rossi ), nè dei cultori isolati, nè degli studiosi extra-europei ( es. Stanley Hoffman dell’Università di Harvard; John Gillingham dell’Università del Missouri; Clifford Hackett del Jean Monnet Council di Washington ), e neppure delle nuove accessioni di studiosi, provenienti per lo più dagli studi di storia contemporanea, che recentemente hanno infoltito i ranghi dell’Azione Jean Monnet e fanno bene sperare per il futuro della disciplina.

La produzione apparsa è catalogata in diverse bibliografie, delle quali dò i riferimenti in una voce della mia Bibliografia introduttiva alla storia dell’integrazione europea fino ai Trattati di Roma ( Quaderni della Scuola europea, 198, 4 ). Per una rassegna più esaustiva e che copra l’intero arco temporale fino al Trattato di Amsterdam ocorre rivolgersi alle banche dati ( Euroclio, Euristote per la letteratura grigia ) e ai cataloghi delle grandissime biblioteche accessibili via Internet.

Termine a quo della ricerca in storia dell’integrazione europea sembra essere la vigilia della I° guerra mondiale, atmosfera in cui fioriscono le tesi sulla Mitteleuropa di Friedrich Naumann, momento in cui si manifestano preoccupazioni pro o anti-europee.

Fino alla 2° guerra mondiale, però, la ricerca continua a muoversi sul terreno della storia dell’idea d’Europa, perchè le iniziative concrete promosse a vari livelli nel periodo fra le due guerre non produssero effetti. Tutto sommato questo primo periodo della storia dell’integrazione europea risulta ancora poco studiato ( ad es. mancano ricerche adeguate intorno a Richard Coudenhove-Kalergi e alla sua Paneuropa ), ma si stanno apprestando gli strumenti per farlo ( indici di archivi, anche privati; spoglio di riviste; pubblicazione di diari e memorie ).

Più arato risulta essere il terreno degli anni ’40 e ’50, sui quali la documentazione è amplissima e il dibattito storiografico antico. Si può dire che per quegli anni esiste ormai un quadro storico sicuro, anche se letto da diverse prospettive.

Molti dei lavori in corso si concentrano sugli anni ’60, quelli della messa in opera delle Comunità, della lenta maturazione di un contenzioso euro-americano, dei forti contrasti sulla strategia con la quale fare l’Europa che si sviluppano intorno ale iniziative di Charles de Gaulle, di Jean Monnet.

Finalmente, l’attenzione comincia a portarsi sugli anni ’70 per i quali la documentazione è ancora lacunosa ma l’interesse grandissimo, perchè segnano l’avvio della fase meno ottimistica, meno lirica della costruzione europea nella quale ci troviamo tuttora, nella quale è importante ricordare - da ultimo con Jean Monnet - che non si tratta di essere ottimisti, che potrebbe voler dire essere naïfs, ma di essere determinati.

Di un termine ad quem non si può, invece, dire per la storia dell’integrazione europea, visto che gli storici sono oggi sollecitati anch’essi a dare il loro contributo di riflessione al fine di forgiare l’avvenire, com’è accaduto di recente in occasione dei lavori preparatori della Conferenza intergovernativa del 1996. Nel congedarsi definitivamente dai lettori della sua Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni ( Milano, LED, 1998, p.822 ), Jean-Baptiste Duroselle ha teorizzato questo concetto in relazione a qualsiasi storia: "...la Storia non asseconda che in parte le forze profonde, la causalità; essa è anche frutto degli obiettivi che gli uomini si propongono, e dunque della finalità".

In ogni caso si può notare che gli studi di storia dell’integrazione europea si concentrano piuttosto sull’ultracontemporaneo, il che produce due conseguenze:

  1. la necessità per gli studiosi di ricorrere a fonti non tradizionali, come le fonti orali ( e anche a questo riguardo la Commissione europea ha svolto un ruolo, promuovendone la raccolta e l’uso fin dalla metà degli anni ’80 );
  2. una certa provvisorietà dei risultati, che spesso sono lontani dall’apparire conclusivi.

Un bilancio dei risultati raggiunti dalla ricerca e delle lacune che essa mostra è stato fatto nel corso di un Collloquio organizzato a Lovanio ( 11-12 settembre 1991 ), al quale ha partecipato una quarantina di storici europei.

Dal panorama che è stato tracciato in quell’occasione ( Lettre d’information des Historiens de l’Europe Contemporaine, 1992, 1-2 ) risultano privilegiati gli aspetti geopolitici ed ideologici dell’integrazione europea considerati sotto il profilo della storia diplomatica, della storia politica e della storia delle istituzioni.

La dimensione socio-culturale e quella economica e monetaria risultano, invece, ancora nebulose e meriterebbero di essere sviluppate.

L’apporto della storiografia dei diversi Paesi varia in relazione all’epoca del loro ingresso nel processo d’integrazione e anche in funzione del multilinguismo dei ricercatori, come risulta dai limiti che mostrano le storiografie britannica e irlandese.

Spesso la storiografia ha privilegiato la dimensione nazionale, anche per effetto della cultura storica nazionale dei ricercatori.

Sono da sottolineare, infine, il carattere federalista della storiografia degli esordi ( evidente negli studi e nelle raccolte di Walter Lipgens, della fine degli anni ’60 ) e l’importanza della letteratura grigia, fiorita nelle Università a partire dagli anni ’80, per lo sviluppo della disciplina. Fu allora che, sulla base dell’apertura di nuova documentazione, vennero inaugurate diverse tendenze di ricerca, aperte piste interpretative originali, prodotti veri e propri lavori storiografici a partire da tesi di laurea, di specializzazione e di dottorato.

Dal punto di vista delle fonti, la storia della costruzione europea quale si è svolta dal 1945 in poi, nel quadro della società di massa e del pluralismo democratico, trae alimento da diversi tipi di fonti storiche: diplomatiche, europee, politiche ( istituzioni politiche nazionali, centrali e periferiche; partiti; sindacati; singole personalità ), economiche ( istituzioni economiche, nazionali e non; statistiche ), sociali ( gruppi di pressione; opinione pubblica ).

Essendo l’avvio della costruzione europea opera di élites, si è sviluppato un grande interesse da parte degli storici per lo studio delle personalità. Esso ha dato luogo a pregevoli biografie storiche di stile anglosassone ( fra le quali sono molto note quelle di Jean Monnet scritte da Eric Roussel e da François Duchêne e quella di Robert Schuman scritta da Raymond Poidevin ), ed alla raccolta di testimonianze che a volte hanno preso la forma di vere e proprie storie di vita.

Da parte loro le personalità sono intervenute nel processo di storicizzazione delle loro esperienze, partecipando attivamente ai colloqui degli storici e mostrando sensibilità per la conservazione dei documenti storici, vale a dire versando ad archivi pubblici o privati o a Università le loro carte.

La lista dei colloqui internazionali che hanno dato impulso alla storia dell’integrazione europea è lunga ed eccellente. Quasi sempre si è trattato di incontri fra storici e testimoni: i 3 colloqui sulla politica di potenza in Europa; i 4 organizzati dal Gruppo di collegamento degli storici europei; i 2 celebrativi dei trattati di Roma, nel 30° e nel 40° anniversario; i 2 su coscienza e identità europea nel XX° secolo; i 3 sui movimenti per l’unità europea; quello che ha posto a confronto la storiografia occidentale e la storiografia russa sui temi dell’integrazione europea; quello su Jean Monnet e i sentieri della pace.

A proposito del colloquio svoltosi nel 1995 presso l’Accademia russa della Scienze di Mosca - i cui atti sono stati pubblicati solo in russo e che è, quindi, poco noto -, è il caso di osservare che esso evidenziò le differenze esistenti fra l’approccio storiografico occidentale e quello marxista, di ordine metodologico inerenti alla diversa evoluzione della critica storica nelle due culture, e di ordine ideologico o se vogliamo inerenti alle diverse mentalità.

In Occidente l’integrazione europea è stata a lungo considerata come un processo ineluttabile ed irreversibile, che affonda le sue radici lontano nel tempo e tende alla meta indicata con maggiore o minore precisione dai precursori dell’idea europea e dai leaders visionari del secondo ‘900. Per i Russi, invece, l’integrazione occidentale in Europa era stata un frutto della guerra fredda, destinato come tale a non durare, oltre ad essere condannata al fallimento come tutto ciò che era legato al capitalismo ed alle sue intime contraddizioni.

Attualmente nessuna delle suddette impostazioni è rimasta intatta, è sopravvissuta al crollo delle ideologie ed al trionfo della globalizzazione; ma, se l’approccio storiografico emergente è quello che privilegia la prospettiva degli interessi nazionali, esso non potrà non condurre, in Occidente e in Russia, a risultati ancora una volta discordanti.

In effetti negli ultimi 20 anni la storiografia sull’Europa si è evoluta da storia dell’idea a storia diplomatica e la ricerca delle motivazioni si è focalizzata sulla ragion di Stato e, in particolare, sugli interessi nazionali di tipo economico. L’integrazione, si è detto, fu lo strumento adottato dagli Stati nazionali per risolvere certi loro problemi specifici, generalmente economici, e sopravvivere alla catastrofe della 2° guerra mondiale.

La tesi dello storico economico britannico Alan Milward ( The European Rescue of the Nation State, Londra, Routledge, 1992 ) ha avuto fortuna e suscitato letture nuove degli eventi capitali nella storia dell’integrazione europea. La nascita della CECA, ad esempio, non è più tanto vista come un atto di puro idealismo europeo quanto come un’iniziativa complementare al Piano Marshall e al Piano di modernizzazione e d’equipaggiamento francese ai fini della ricostruzione dell’economia francese e della riattivazione degli scambi internazionali. Energia, acciaio, cemento, trasporti erano, infatti, i punti di strozzatura europei nelle forniture di base che in alcuni Paesi fissavano un tetto alla produzione, al reddito e di conseguenza alla spesa.

Per quanto brillante questa interpretazione non può, a mio avviso, scalzare il significato della testimonianza di Jean Monnet, che in una delle sue note di riflessione preparatorie della Dichiarazione Schuman individuava come centrale il problema della pace, la necessità di mutare il contesto nel quale si cristallizzavano le antiche paure, l’urgenza di attuare la ricostruzione al cuore dell’Europa. Altri protagonisti hanno, anzi, deposto nello stesso senso, come Emile Noël che mi ha confermato in una intervista essere la pace, allora, il grande motivo ispiratore per fare l’Europa, anche se in seguito si è teso a dare alla costruzione europea ogni sorta di motivazioni.

Un accenno, per concludere, alla manualistica, ancora insufficiente specie da noi.

Il migliore testo è quello di Pierre Gerbet ( La construction de l’Europe, Parigi, Imprimerie Nationale, 1994 ), anche se incompleto specie sotto il profilo delle relazioni esterne.

Seguono Marie-Thérèse Bitsch ( Histoire de la construction européenne de 1945 à nos jours, Bruxelles, Complexe, 1996 ) e Wilfried Loth ( Der Weg nach Europa. Geschichte der europaïschen Integration 1939-1957, Göttingen,Vandenhoek & Ruprecht, 1991 ), che però copre solo il tempo storico e non, come la Bitsch, anche il tempo presente.

Giuseppe Mammarella e Paolo Cacace ( Storia e politica dell’Unione europea, Bari, Laterza, 1998 ) è facilmente assimilabile, ma troppo sommario.

Bino Olivi ( L’Europa difficile. Storia politica dell’integrazione europea 1948-1998, Bologna, Il Mulino, 1998 ) non è didatticamente adeguato, perchè non offre per il tempo presente una messa in prospettiva che permetta agli studenti di orientarsi fra i numerosi avvenimenti dei quali dà conto.

L’attuale generazione di storici dell’integrazione europea ha fatto ciò che ha potuto per fondare la nuova disciplina: se la è sobbarcata appena nata, accanto agli studi più classici che era impegnata a svolgere ed a concludere; ha inventato una metodologia; ha pazientemente prodotto un corpus consistente di fonti orali; ha viaggiato qua e là; ha compitato testi e documenti anche nelle lingue che le erano meno familiari; ha creato un reticolo transnazionale che è strumento di contatti e di collaborazione, ma anche espressione di collegiale amicizia. Essa lascia, credo, una piccola ma solida eredità e recita ai suoi successori il motto del principe belga: "Plus est en vous".


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Maria Grazia Melchionni, Università La Sapienza